di Marco Bersani
Ad oltre quattro anni dalla vittoria referendaria sull’acqua, continua senza sosta l’indifferenza governativa verso quella straordinaria esperienza di democrazia diretta e proseguono con pervicacia i tentativi di consegnarne la gestione ai grandi interessi finanziari.
Come se non bastasse il combinato disposto normativo dello scorso anno, che fra Sblocca Italia (che ha sancito la gestione unica all’interno degli Ato), l’azione delle Regioni (volta ad accorpare le gestioni verso un unico Ato regionale) e la legge di stabilità (che incentiva la vendita dei servizi pubblici locali permettendo ai Comuni di spendere, fuori dal patto di stabilità, le somme ricavate), il Governo Renzi si appresta a dare l’affondo finale con la prossima legge di stabilità.
Evidentemente e nonostante le facilitazioni, i meccanismi di privatizzazione continuano a non avere vita facile, grazie alla resistenza che il movimento per l’acqua continua a praticare in tutti i territori.
Ed ecco allora in campo l’ulteriore mossa: con la prossima legge di stabilità verrà introdotto un tetto al numero delle partecipate in mano agli enti locali e soprattutto verrà introdotto un limite alla quota pubblica nel capitale sociale delle stesse.
L’alibi per questa operazione di privatizzazione –in nulla diversa dal decreto Ronchi del governo Berlusconi, abrogato dal referendum- è già pronto: abbattere il carrozzone delle partecipate, contrastare la corruzione che si annida nelle stesse e via dicendo (tutte cose giuste, ma che se affrontate dal basso, darebbero risultati in direzione opposta); l’obiettivo è quello di costruire 4-5 campioni nazionali per farli competere anche sul mercato internazionale della gestione del servizio idrico.
Primo sponsor dell’operazione, ça va sans dire, Confindustria, che, sul Sole24 Ore della settimana scorsa, ha già delineato la strategia: i colossi ai nastri di partenza (A2A, Iren, Hera e Acea) , la leva finanziaria già in campo (Cassa Depositi e Prestiti, attraverso il Fondo Strategico Italiano), il terreno di conquista definito (il mercato italiano e poi via verso Africa e Sud-Est asiatico), e il bottino che fa scorrere le pupille (15 miliardi di euro il valore complessivo).
Poteva mancare il Presidente dell’Anci, Piero Fassino? Naturalmente no. Ed eccolo infatti, sempre sul Sole24 Ore, dare il proprio incondizionato assenso: “Ritengo che la creazione di grandi player necessiti di un quadro normativo e finanziario che deve trovare nella prossima legge di stabilità delle misure idonee”. Perché va bene il libero mercato, ma se da solo non ce la fa, ecco Anci e Governo a soccorrerlo…
Business regolato da tariffe (e che tariffe, in spregio al referendum!), flussi di cassa elevati, prevedibili e stabili nel tempo, titoli tendenzialmente poco volatili e molto generosi in termini di dividendi: ecco il banchetto pronto per i grandi capitali finanziari.
Con la prossima legge di stabilità, il governo Renzi tenterà, anche nel campo dell’acqua, di realizzare quello che non è riuscito al governo Berlusconi, travolto dalla marea referendaria. L’obiettivo è dare due forti segnali. Il primo è quello di dimostrare come le istituzioni pubbliche debbano avere un solo compito: facilitare l’espansione della sfera d’influenza dei mercati finanziari sulla società e la vita delle persone. Il secondo è quello di chiudere la partita con ogni esperienza di democrazia diretta e di sovranità popolare, colpendo direttamente l’anomalia di un’esperienza come quella del movimento per l’acqua, unica in questi anni ad aver saputo coinvolgere l’intera popolazione in un diverso progetto di società. A tutte e tutti noi il compito di impedirlo.
Fonte – www.attac.it